Come hanno agito le
pressioni selettive sui tratti della mente umana fino a renderla capace di
sviluppare una cultura così speciale e potente? Il genere Homo
nasce Faber intorno a 2,5-3 milioni
di anni,come ci ricorda F.Cavalli-Sforza
(2010),e questa capacità gli era propria. Probabilmente già gli australopitechi usavano strumenti di legno
abbastanza elaborati,benchè nessuno possa provarlo non essendosi conservati.Si
pensa che le forze in competizione in questa gara siano state principalmente tre,e
non sempre orientate nella stessa direzione:la selezione naturale,quella sessuale
e quella culturale.Il modo in cui si è svolta e continua a svolgersi questa ‘competizione’
a tre è uno degli obbiettivi più affascinanti di questo primo
secolo del terzo millennio per la genetica del comportamento,la psicologia
evoluzionistica e l’ Human Behavioral Ecology (derivanti,queste ultime
due,rispettivamente dalla sintesi della biologia evoluzionistica con la
psicologia e con l’antropologia).
Assai valido e da apprezzare è stato lo sforzo di G.Miller e altri
(1999,2002) di migliorare la cooperazione tra la genetica comportamentale
(Plomin,DeFries,2001) e la psicologia evoluzionistica (Buss,1995;Tooby & Cosmides,
2005), abbattendo il terreno che
separa i due fiumi ormai rigogliosi,e cercando di superare sia le incomprensioni
reciproche tra le due discipline,sia la riluttanza,radicata
nel profondo della nostra evoluzione culturale (vedi quella di studiosi
influenti come Stephen J.Gould o Steven Rose),ad applicare la genetica
evoluzionistica e le leggi della fitness allo studio della mente umana,sebbene
da sempre lo si faccia con quella animale.
Miller è noto al
grande pubblico soprattutto per avere provocatoriamente sostenuto in un libro
di successo (Uomini,donne e code di
pavone-come la selezione sessuale modella l’evoluzione della natura umana,2002)
che le espressioni più elevate della mente umana come l’arte,la musica,
l’umorismo,la religione (ma anche la politica, la filosofia o la scienza
stessa) si sono evolute come mezzi di corteggiamento nella selezione sessuale
più che come mezzi di sopravvivenza.Le polemiche sollevate dalla sua ipotesi dimostrano
quanto le scienze evoluzionistiche della personalità e della mente
costituiscano ancora sempre un’oscura minaccia davanti alla quale si saldano sante
alleanze a difesa dei valori più alti e sacri dell’umanità. ll risultato di
questa difesa,dice Miller,è che tuttora ,dal punto di vista evoluzionistico, di
queste espressioni della mente non si hanno spiegazioni davvero convincenti,oltre
a quella abbastanza generica che sono servite a consolidare l’unione identitaria
dei gruppi umani.Ai suoi esordi la psicologia evoluzionistica ha fatto
bene,secondo lui,a tenersi alla larga dalla roccaforte ,ma oggi che la disciplina
è culturalmente più consolidata non c’è bisogno d’essere cauti davanti alla controversa
questione (intervista www.edge.org, 06/98).
Anche Charles
Darwin,che notoriamente non era un cuor di leone,dopo aver pubblicato nel 1859
la sua opera fondamentale L’origine delle
specie-selezione naturale e lotta per l’esistenza (1859) fece passare
dodici anni prima di dare alle stampe L’origine
dell’uomo e la selezione sessuale (1871),dove metteva a frutto idee
maturate molti anni prima con accostamento di osservazioni naturalistiche sulla
vita degli animali e quelle sulla selezione sessuale artificiale operata
dall’uomo con gli animali domestici.Darwin vi dimostrava attraverso molte prove
che in molte specie animali le femmine sceglievano i loro compagni non solo per
l’aspetto fisico e il loro predominio nella competizione sessuale, ma anche per
un’ampia serie di tratti comportamentali che possiamo definire intelligenti e
creativi come la sapienza nel costruire nidi,nel cantare,nel ballare o nel
corteggiare e questo determinanava un’amplicazione e una diffusione evolutiva
di quei tratti maschili.Aveva fondate ragioni per essere cauto conoscendo i
limiti della cultura vittoriana in cui viveva. L’idea che più turbava i contemporanei
fu che i processi psicologici soggiacenti alla scelta femminile del compagno e
del partner sessuale dovessero essere considerati una forza causale
dell’evoluzione parallela a quella della selezione naturale.
Come sostiene Miller,per
un secolo la teoria della selezione sessuale ha languito in una sorta di limbo
scientifico,finchè la biologia evoluzionistica negli ultimi due decenni s’è
decisa a ripescarla,e da quel momento la sua ascesa è stata ininterrotta,tanto
che attualmente le ricerche sulla selezione sessuale dominano le migliori
riviste sull’evoluzione e sul comportamento animale.La scelta del partner
sessuale è ormai un argomento caldo dopo che per tutto il 20° secolo la
psicologia, l’antropologia e le altre scienze umane,politiche o economiche,l’hanno
considerato un orgomento trascurabile,o da evitare. Secondo la
tradizione tutto ciò che noi eravamo poteva essere spiegato dalle leggi della
selezione naturale: l’intelligenza,l’arte,la musica erano solo dei
meravigliosi effetti collaterali e casuali di quel meccanismo.
Tuttavia mentre sembra
facile da un punto di vista adattazionista spiegare gli elementi della
tecnologia e la loro diffusione,dall’invenzione della lancia a quella
dell’aratro,meno facile spiegare è la nascita e la diffusione dell’arte,della musica o dell’umorismo.Grazie
ad alcuni biologi evoluzionisti del passato (Fisher,1930; Zahavi,1975;Hamilton
& Zuk, 1982) (vedi) che hanno riformulato alcuni principi della selezione
sessuale già intuiti da Darwin,sembrò finalmente possibile applicare gli stessi
alle varie forme di corteggiamento che accomunano animali ed esseri umani. Morale
della favola,dice Miller:se noi siamo così intelligenti e creativi è grazie
alla selezione sessuale che ha influenzato le scelte tra maschi e femmine nel
corso di molte centinaia di migliaia di anni e ciò è accaduto perché i nostri
antenati più intelligenti,più gentili e più creativi rispetto alla media hanno
attratto sessualmente più compagni e compagne di altri;con questo vengono messi in evidenza i sorprendenti
paralleli,per esempio,tra la musica degli esseri umani e il canto degli uccelli
per attirare partner per la riproduzione,il canto delle balene e tutta la serie
di complicati e spesso ridondanti segnali acustici che gli animali si inviano.
Nel 2007 G.Miller,insieme a L.Penke e J.Denissen (d’ora
in poi PDM) hanno pubblicato un penetrante
documento per approfondire l’argomento (The
Evolutionary Genetics of personality)(vedi biblio).Il loro ambizioso obbiettivo generale
era spiegare come l’evoluzione per selezione naturale e sessuale modellano le
basi genetiche delle differenze di personalità,della creatività umana e
dell’intelligenza,ma, com’era prevedibile,ha scatenato adesioni entusiastiche e
netti rifiuti,portando allo scoperto una serie di problemi di difficile
soluzione sia tra i biologi che tra gli psicologi evoluzionisti.Vediamo in
breve i termini del problema.
Nella loro introduzione
gli autori spiegano che l’ondata moderna della psicologia evoluzionistica
(Buss,1995;Tooby & Cosmides, 2005) che aveva avuto i suoi precursori in W.James
(1890),McDougall (1908),Thorndike (1909), si è concentrata quasi esclusivamente
sugli universali umani,cioè sugli adattamenti psicologici complessi che sono
stati geneticamente fissati nella nostra specie dalla selezione naturale e che
quindi dovrebbero mostrare zero variazione genetica e zero ereditabilità (Tooby
& Cosmides,1990).In netto contrasto con questa tesi,negli ultimi tre
decenni una delle più importanti scoperte della genetica del comportamento è
stata quella che attribuisce una forte ereditabilità praticamente a ogni aspetto
della personalità (Plomin, DeFries,McClearn & McGuffin,2001).Secondo PDM la
mancanza di corrispondenza nella visione adattamentista tra la messa a fuoco
degli psicologi evoluzionisti sugli
universali e l’onnipresenza delle variazioni ereditabili nella personalità
potrebbe spiegare il motivo per cui i primi approcci nella psicologia
evoluzionistica della personalità (Buss,1991; MacDonald, 1995,1998;Toby &
Cosmides,1990) sono stati piuttosto insoddisfacenti (Nettles,2006).
D’altra parte,la
genetica del comportamento tradizionale non ha spiegato le origini evoluzionistiche
e la persistenza delle variazione genetiche nella personalità,e a volte la
variazione genetica nei tratti è stata addirittura considerata anche la prova
della loro scarsa rilevanza per l’evoluzione. Insomma tra gli
psicoevoluzionisti degli universali (Tooby & Cosmides 1990, 2005) e i
genetisti delle differenze di personalità (Plomin et al,2001) non esisteva dialogo,e
pur condividendo una metateoria biologica,non potevano avere quasi nessuna
influenza gli uni sugli altri. Giustamente PDM ritengono questa negligenza reciproca
assai controproducente per lo sviluppo di una psicologia evoluzionistica della
personalità.
PDM ricordano che nella
‘Sintesi Moderna’ degli anni ’30,quando R.Fisher,S.Wright e JBS Haldane
intrecciarono i due rami della biologia,quella evoluzionistica secondo la
visione adattamentista di C.Darwin e quella psicometrica della genetica del
comportamento (fondata da F.Galton,cugino dello stesso Darwin) per un po’ avevano
camminato appaiate.Furono Fisher,Wright e Haldane a gettare le basi di quella
che oggi chiamiamo ‘genetica comportamentale’ e che si occupa delle origini,del
mantenimento e delle implicazioni della variazione genetica dei tratti
attraverso gli individui e le specie,attraverso la costruzione di modelli
matematici per dimostrare gli effetti della mutazione,della selezione,della
migrazione e della deriva genetica di questi tratti nella popolazione (Maynard
Smith,1998).
Nell’introduzione al
documento PDM puntualizzano che useranno i termini ‘differenze di personalità’ e
‘capacità cognitive’ nel senso lato della tradizione europea,la quale descrive la
personalità come un insieme che comprende differenze individuali sia nelle
capacità cognitive che nei tratti di personalità (ad esempio Eysenk &
Eysenk,1985).
Le capacità cognitive
riflettono le prestazioni massime di un individuo nella soluzione di compiti
cognitivi.La ben consolidata l'idea di un unico continuum di intelligenza
generale, che va da lieve ritardo mentale all’alto potenziale cognitivo fino
alla genialità, spiega una gran parte delle differenze individuali nella
abilità cognitive in domini differenti (Jensen, 1998), in modo particolare a
livello genetico (Plomin & Spinath, 2004).PDM sottolineano che la loro discussione sulle capacità cognitive sarà
focalizzata su questa dimensione generale di intelligenza (denominata g-factor).
I tratti della
personalità riflettono invece un insieme di tendenze comportamentali tipiche esibite
in situazioni che lasciano spazio a varie risposte di adattamento di un
individuo. La miriade di dimensioni di tratto della personalità di solito sono
organizzati in modelli strutturati (vedi il modello dei 5 fattori) e sono generalmente considerate dimensioni del temperamento
stabili nel tempo e attraverso le situazioni.
Per migliorare lo
stato delle conoscenze su questo argomento sarebbe necessario distinguere le
parti della mente che in tutti hanno la stessa struttura (intelligenza,capacità
cognitive),da quelle parti che manifestano una significativa variabilità
genetica tra le persone (differenze di personalità,nel temperamento e nel carattere).
Fin qui il documento
non solleva problemi,ma nascono presto,quando PDM sostengono che la distinzione
classica tra le capacità cognitive e tratti della personalità è per loro molto
di più di una semplice convenzione storica o una questione metodologica di differenti
approcci di misura (Cronbach, 1949),in quanto riflette anche differenti tipi di
pressioni selettive che entrano in gioco per plasmare le architetture genetiche specifiche
di queste due categorie di tratti.
fig 1-'Modello del bacino idrico' di Cannon&Keller (2006) |
PDM applicano ai
tratti del modello forze selettive differenti e affermano, 1) che la
variabilità genetica nei tratti di personalità è mantenuta attraverso una selezione
bilanciata,
2) che la variabilità
genetica nelle capacità cognitive è mantenuta attraverso un bilanciamento
selezione-mutazione,con una tendenza verso una selezione direzionale,
3) che la neutralità
selettiva (Tooby & Cosmides,1990) non è adeguata né a spiegare la
variabilità genetica osservata nei tratti di personalità né quella nelle
capacità cognitive.
Gran parte dei biologi
e psicologi evoluzionisti concordano con queste conclusioni,ma non quando vengono
introdotti i concetti di ‘tratti-fitness’ e ‘tratti no-fitness’ (Merila &
Sheldon,1999) che PDM abbinano rispettivamente ai tratti ‘a valle’
e a quelli ‘a monte’.
Secondo Merila &
Sheldon,i tratti sotto forte selezione direzionale (tratti -fitness) dovrebbero avere livelli più bassi
di variabilità genetica rispetto a quelli prevalentemente sotto una debole selezione
stabilizzante (tratti no- fitness).I tratti-fitness sembrano avere livelli più
elevati di Varianza genetica Additiva su quella Non Addittiva in confronto ai
tratti no-fitness,che sono anche soggetti a un maggior carico di mutazioni
(vedi glossario).
Secondo Figueredo,per
esempio,il problema nasce dall’ambiguità delle equivalenze nei termini usati da
PDM in riferimento alle fonti citate.
Da una parte PDM
sostengono che ci sono alti valori assoluti di varianza genetica additiva nei
tratti di fitness,in quanto i tratti di fitness e life-history sono entrambi
potenzialmente influenzati da mutazioni in un gran numero di loci genici.E pertanto,benchè
i tratti fitness possano essere sotto forte selezione direzionale,in essi un
valore assoluto di Varianza genetica Additiva potrà essere mantenuta dall’opposizione
continua della selezione naturale alla pressione mutazionale.
Ma poi PDM assumono
che i tratti rilevanti per la fitness sono esclusivamente quelli sottoposti a
selezione direzionale in contrapposizione a quelli life-history che sono sotto selezione
bilanciata,mentre secondo Figueredo anche i tratti sotto selezione bilanciata dovrebbero
essere strettamente connessi ai risultati di fitness.
PDM ricordano che
anche Figueredo ed altri (2005) hanno proposto la selezione bilanciata come
spiegazione del mantenimento della variabilità genetica nei tratti life-history;ma
la citazione non sembra appropriata,perché Figueredo e al (2005) hanno
attribuito alla variabilità dei tratti
life-history valori decisamente rilevanti per la fitness,in quanto strategie
riproduttive alternative potrebbero essere ugualmente rilevanti all’interno di
complesse ecologie sociali.
Secondo
Figueredo,quindi, PDM equiparando i ‘tratti a valle’ nel ‘modello-bacino’ con i
‘tratti di fitness’ (che ritengono sottoposti a un equilibrio tra pressione di
mutazione e selezione direzionale), sottintendono che i tratti di ‘fitness a
valle’ hanno anche scarsa probabilità di essere soggetti a selezione
bilanciata,come indicherebbero i loro elevati livelli di Varianza genetica Non Additiva.
In effetti quella di
PDM ha tutto l’aspetto di una forzatura teorica senza prove.Alla fine non è
chiaro perché le cose debbano stare come PDM affermano;non è chiara cioè la
ragione per cui un tratto ‘a valle’ con un alto valore di fitness debba essere
estraneo alla selezione bilanciata,come,nello stesso modo,non è chiaro perché
la Varianza genetica Additiva dovrebbe essere ridotta e impoverita nei tratti
sotto selezione bilanciata.Ciò che non convince è la certezza apparente
con cui PDM presentano le loro previsioni differenziali come criteri affidabili
per discriminare i meccanismi che mantengono la variabilità genetica nei tratti
della personalità e in quelli cognitivi,tenendo anche conto che gli studi
citati a sostegno delle loro ipotesi sono considerate dai loro stessi autori (più
timidamente) come ipotesi di lavoro.
Anche se entusiasma
Miller,quella scissione dentro la mente tra intelligenza e tratti di
personalità non convince;per Miller l’ipotesi è irrinunciabile,anche perché è
un sostegno fondamentale all’idea che gli
indicatori dell’intelligenza si siano evoluti attraverso l’accoppiamento
assortativo e la selezione sessuale per la scelta di ‘buoni geni’(1999);come la
coda del pavone,le corna dell’alce e la voce dell’usignolo,anche l’intelligenza
umana si sarebbe evoluta per pubblicizzare e promuovere buoni geni,liberi da
mutazioni pericolose,la buona salute e un buon funzionamento mentale (fattore
g),come indicatore di fitness generale.
Ma in che misura
questo è vero si chiede R.McCrae nel commento al documento di PDM.Fa osservare
che i meccanismi dell’accoppiamento assortativo sono molto più complessi di
quello che PDM vorrebbero far credere,basandosi sui risultati ottenuti da
R.Plomin (1999).Dai meccanismi che guidano l’accoppiamento assortativo
risulterebbe un valore trascurabile per i tratti di personalità (.10
circa),mentre quello per l’intelligenza raggiunge valori notevolmente superiori
(.40).
In quegli studi,fa
notare McCrae,sono stati coinvolti i tratti di estroversione e nevroticismo,ed
è ragionevole per quei fattori ottenere simili valori. Ricorda che nel 1996 in
una propria ricerca,sono stati trovati valori più alti (.20-.30) riguardo
all’Apertura all’esperienza e alla Coscienziosità del FFM,e anche valori molto
più elevati per i caratteri legati al liberalismo/conservatorismo che sono
aspetti dell’Apertura all’esperienza. Si potrebbe sostenere, osserva McCrae,che
l’accoppiamento assortativo per i caratteri legati al Liberalismo/ /conservatorismo
hanno poco a che fare con i processi dell’evoluzione,ma lo stesso argomento potrebbe
essere usato per l’intelligenza:le persone intelligenti possono preferire
compagni intelligenti solo perché sono persone interessanti con cui parlare e
non perché indicano un più alto punteggio nel fattore f (fattore di fitness).
Su quest’idea di intelligenza c’è uno scarso consenso di
fondo tra gli psicologi;per essi le nostre menti sono piuttosto una raccolta di
differenti capacità,di diversi adattamenti per fare cose differenti e diffidano
di qualsiasi super fattore che pretenda di estendersi sopra queste
capacità o che venga a trovarsi sulla vetta per dirigere tutto.
In realtà questo non lo
pensano nemmeno i ricercatori sull’intelligenza, molti dei quali ammettono che
non esiste una facoltà di ‘intelligenza generale’ e che,in sostanza,il fattore g è solo un’astrazione statistica derivante dal fatto che in
genere persone che sono bravi e competenti in qualcosa lo sono anche in altre
cose.
Nel documento di
PDM,ciò che più disorienta (e per certi aspetti preoccupa) è la logica che sta
alla base del rapporto tra fattore g (intelligenza) e fattore f (fitness),e la loro
‘indipendenza’ dai tratti della personalità.Questa logica sembra auspicare che
i biologi usino l’analisi fattoriale per analizzare la fitness come gli
psicometristi l’hanno utilizzata per analizzare l’intelligenza umana,seguendo
l’esempio di Spearman (1904)
La fitness non può
essere misurata direttamente,sostiene Miller,tuttavia i biologi hanno
sviluppato una serie di misure abbastanza affidabili, (relative,per esempio,alle
dimensioni corporee,alla massa
corporea,alla simmetria del corpo,al
basso carico di parassiti (Moller & Swaddle,1997)),
che probabilmente
correlano positivamente con una fitness biologica generale.Miller teorizza che,data
la correlazione positiva di queste misure di fitness,sia possibile con l’analisi
fattoriale definire un fattore generale di fitness (fattore f) moderatamente
ereditabile,e sovraordinato al fattore g
(intelligenza),proprio come il fattore g è sovraordinato ai suoi fattori di
intelligenza spaziale o intelligenza verbale.
Per PDM questo fattore f
rappresenterà una parte sostanziale della varianza tra gli individui nella
misura della fitness,ma le deduzioni da questa ipotesi sono molto incoerenti con l’assunto
standard dell’Human Behavioral Ecology,secondo cui i trade-off tra tratti dovrebbero dare luogo
a correlazioni negative tra molte misure di fitness.
Se inseriamo in questo
quadro un altro fattore,come il K-factor
di Figueredo e altri (2005),siamo al muro contro muro.Il K-factor nasce da una visione generale differente che porta a due
conclusioni fondamentali; la prima è che la selezione di varianti nelle strategie life-history è la forza trainante della selezione per le variazioni
della personalità;la seconda è che il parziale disinnesco degli effetti della
competizione tra gli individui dentro la specie attraverso la loro assegnazione
a specifiche nicchie sociali è la funzione specificamente evoluta e adattiva di queste
variazioni e non un mero effetto collaterale casuale.In uno studio sui gemelli
(2006) è stata anche dimostrata una sostanziale correlazione genetica tra il
K-factor (fattore di personalità di più alto ordine) e una composita e
multivariata gamma di indicatori cognitivi e comportamentali delle strategie
life-history.
Tutto considerato
siamo ancora davanti a un antico dilemma tra un’idea platonica,razionalistica e verticale dell’Intelligenza (con la I maiuscola), seppure vivacizzata dagli
aspetti erotici della scelta del partner, e una materialista,diffusa e
orizzontale, che considera soprattutto il variegato mondo delle intelligenze
(con la i minuscola) in competizione.
Uno stimolante suggerimento
per superare lo stallo ci sembra quello di A. Strobel,psicofisiologo e
genetista molecolare,il quale diffida della netta distinzione che fanno PDM nel loro
documento tra i meccanismi neurogenetici alla base delle abilità
cognitive e del temperamento;ritiene che questa distinzione
sia prevalentemente teorica,dal momento che esistono prove di una associazione
tra tratti del temperamento e le funzioni di controllo cognitivo,cioè di una loro
sovrapposizione neuroanatomica e neuromodulatoria.Negli ultimi anni numerosi
studi hanno registrato influenze genetico molecolari sul controllo cognitivo o sulla memoria di
lavoro (Posthuma, Mulder, Boomsma, and de Geus ,2002) e mettendo insieme queste
evidenze emerge che le variazioni genetiche che incidono sulle funzioni
cognitive sono anche associate alle differenze individuali sui tratti di
temperamento
Questo potrebbe
implicare la necessità di considerare anche l’esistenza di norme di reazione
cognitiva (plasticità fenotipica) in associazione a quelle previste per i
tratti del temperamento.Una norma di
reazione si manifesta quando un allele non controlla un carattere,ma il
modo di reagire a certe sollecitazioni dell’ambiente.Perciò a parità di
genotipo (per esempio essere estroversi e ricercatori di novità oppure essere
cauti e amanti delle regolarità) gli individui esposti a condizioni medie
svilupperanno un certo fenotipo temperamentale e cognitivo,e altri esposti a
condizioni estreme svilupperanno fenotipi differenti (vedi).
Strobel passa in rassegna una serie di studi sui controlli transcrizionali combinati di alcuni geni importanti
nelle variazioni temperamentali e cognitive,e nota quanto in tale
direzione siano stati importanti le ricerche precedenti di Depue &
Collins (1999) e di Gray &McNaughton (2000).
Perciò potrebbe essere utile,suggerisce Strobel,assumere una terza categoria di abilità oltre (o tra)
quella cognitiva dei componenti di fitness sotto mutazione-selezione e quella dei
tratti del temperamento,ossia quella delle reazione cognitive che,come i tratti di temperamento,manifestano norme di reazione con fitness
ambiente-contingente sotto selezione bilanciata.Tali abilità cognitive saranno sotto selezione
bilanciata, poiché pur essendo di natura cognitiva ed essendo reclutati quando
la capacità cognitiva è messa alla prova,si manifestano secondo norme di
reazione in funzione dei mutamenti d'ambiente.Ci sono situazioni o ambienti in
cui la capacità di proteggere le
rappresentazioni della memoria di lavoro contro informazioni distraenti
migliora la fitness, e ci sono situazioni o ambienti, in cui l'aggiornamento
flessibile di rappresentazioni e rapidi passaggi da un obbiettivo all’altro,commutando gli stessi mezzi per raggiungerli,è più appropriato.