10 ott 2016

Intelligenza,temperamento e Genetica evoluzionistica.


Come hanno agito le pressioni selettive sui tratti della mente umana fino a renderla capace di sviluppare una cultura così speciale e potente? Il genere  Homo nasce Faber intorno a 2,5-3 milioni di anni,come ci ricorda  F.Cavalli-Sforza (2010),e questa capacità gli era propria. Probabilmente già gli  australopitechi usavano strumenti di legno abbastanza elaborati,benchè nessuno possa provarlo non essendosi conservati.Si pensa che le forze in competizione in questa gara siano state principalmente tre,e non sempre orientate nella stessa direzione:la selezione naturale,quella sessuale e quella culturale.Il modo in cui si è svolta e continua a svolgersi questa ‘competizione’ a tre è  uno degli  obbiettivi più affascinanti di questo primo secolo del terzo millennio per la genetica del comportamento,la psicologia evoluzionistica e l’ Human Behavioral Ecology (derivanti,queste ultime due,rispettivamente dalla sintesi della biologia evoluzionistica con la psicologia e con l’antropologia).
Assai valido e da apprezzare è stato lo sforzo di G.Miller e altri (1999,2002) di migliorare la cooperazione tra la genetica comportamentale (Plomin,DeFries,2001) e la psicologia evoluzionistica (Buss,1995;Tooby & Cosmides, 2005), abbattendo  il terreno che separa i due fiumi ormai rigogliosi,e cercando di superare sia le incomprensioni reciproche tra le due discipline,sia  la riluttanza,radicata nel profondo della nostra evoluzione culturale (vedi quella di studiosi influenti come Stephen J.Gould o Steven Rose),ad applicare la genetica evoluzionistica e le leggi della fitness allo studio della mente umana,sebbene da sempre lo si faccia con quella animale.
Miller è noto al grande pubblico soprattutto per avere provocatoriamente sostenuto in un libro di successo (Uomini,donne e code di pavone-come la selezione sessuale modella l’evoluzione della natura umana,2002) che le espressioni più elevate della mente umana come l’arte,la musica, l’umorismo,la religione (ma anche la politica, la filosofia o la scienza stessa) si sono evolute come mezzi di corteggiamento nella selezione sessuale più che come mezzi di sopravvivenza.Le polemiche sollevate dalla sua ipotesi dimostrano quanto le scienze evoluzionistiche della personalità e della mente costituiscano ancora sempre un’oscura minaccia davanti alla quale si saldano sante alleanze a difesa dei valori più alti e sacri dell’umanità. ll risultato di questa difesa,dice Miller,è che tuttora ,dal punto di vista evoluzionistico, di queste espressioni della mente non si hanno spiegazioni davvero convincenti,oltre a quella abbastanza generica che sono servite a consolidare l’unione identitaria dei gruppi umani.Ai suoi esordi la psicologia evoluzionistica ha fatto bene,secondo lui,a tenersi alla larga dalla roccaforte ,ma oggi che la disciplina è culturalmente più consolidata non c’è bisogno d’essere cauti davanti alla controversa questione (intervista www.edge.org, 06/98).
Anche Charles Darwin,che notoriamente non era un cuor di leone,dopo aver pubblicato nel 1859 la sua opera fondamentale L’origine delle specie-selezione naturale e lotta per l’esistenza (1859) fece passare dodici anni prima di dare alle stampe L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (1871),dove metteva a frutto idee maturate molti anni prima con accostamento di osservazioni naturalistiche sulla vita degli animali e quelle sulla selezione sessuale artificiale operata dall’uomo con gli animali domestici.Darwin vi dimostrava attraverso molte prove che in molte specie animali le femmine sceglievano i loro compagni non solo per l’aspetto fisico e il loro predominio nella competizione sessuale, ma anche per un’ampia serie di tratti comportamentali che possiamo definire intelligenti e creativi come la sapienza nel costruire nidi,nel cantare,nel ballare o nel corteggiare e questo determinanava un’amplicazione e una diffusione evolutiva di quei tratti maschili.Aveva fondate ragioni per essere cauto conoscendo i limiti della cultura vittoriana in cui viveva. L’idea che più turbava i contemporanei fu che i processi psicologici soggiacenti alla scelta femminile del compagno e del partner sessuale dovessero essere considerati una forza causale dell’evoluzione parallela a quella della selezione naturale.
Come sostiene Miller,per un secolo la teoria della selezione sessuale ha languito in una sorta di limbo scientifico,finchè la biologia evoluzionistica negli ultimi due decenni s’è decisa a ripescarla,e da quel momento la sua ascesa è stata ininterrotta,tanto che attualmente le ricerche sulla selezione sessuale dominano le migliori riviste sull’evoluzione e sul comportamento animale.La scelta del partner sessuale è ormai un argomento caldo dopo che per tutto il 20° secolo la psicologia, l’antropologia e le altre scienze umane,politiche o economiche,l’hanno considerato un orgomento trascurabile,o da evitare. Secondo la tradizione tutto ciò che noi eravamo poteva essere spiegato dalle leggi della selezione naturale: l’intelligenza,l’arte,la musica erano solo dei meravigliosi effetti collaterali e casuali di quel meccanismo.
Tuttavia mentre sembra facile da un punto di vista adattazionista spiegare gli elementi della tecnologia e la loro diffusione,dall’invenzione della lancia a quella dell’aratro,meno facile spiegare è la nascita e la diffusione  dell’arte,della musica o dell’umorismo.Grazie ad alcuni biologi evoluzionisti del passato (Fisher,1930; Zahavi,1975;Hamilton & Zuk, 1982) (vedi) che hanno riformulato alcuni principi della selezione sessuale già intuiti da Darwin,sembrò finalmente possibile applicare gli stessi alle varie forme di corteggiamento che accomunano animali ed esseri umani. Morale della favola,dice Miller:se noi siamo così intelligenti e creativi è grazie alla selezione sessuale che ha influenzato le scelte tra maschi e femmine nel corso di molte centinaia di migliaia di anni e ciò è accaduto perché i nostri antenati più intelligenti,più gentili e più creativi rispetto alla media hanno attratto sessualmente più compagni e compagne di altri;con questo vengono  messi in evidenza i sorprendenti paralleli,per esempio,tra la musica degli esseri umani e il canto degli uccelli per attirare partner per la riproduzione,il canto delle balene e tutta la serie di complicati e spesso ridondanti segnali acustici che gli animali si inviano.
Nel 2007 G.Miller,insieme a L.Penke e J.Denissen (d’ora in poi PDM) hanno pubblicato un penetrante documento per approfondire l’argomento (The Evolutionary Genetics of personality)(vedi biblio).Il loro ambizioso obbiettivo generale era spiegare come l’evoluzione per selezione naturale e sessuale modellano le basi genetiche delle differenze di personalità,della creatività umana e dell’intelligenza,ma, com’era prevedibile,ha scatenato adesioni entusiastiche e netti rifiuti,portando allo scoperto una serie di problemi di difficile soluzione sia tra i biologi che tra gli psicologi evoluzionisti.Vediamo in breve i termini del problema.
Nella loro introduzione gli autori spiegano che l’ondata moderna  della psicologia evoluzionistica (Buss,1995;Tooby & Cosmides, 2005) che aveva avuto i suoi precursori in W.James (1890),McDougall (1908),Thorndike (1909), si è concentrata quasi esclusivamente sugli universali umani,cioè sugli adattamenti psicologici complessi che sono stati geneticamente fissati nella nostra specie dalla selezione naturale e che quindi dovrebbero mostrare zero variazione genetica e zero ereditabilità (Tooby & Cosmides,1990).In netto contrasto con questa tesi,negli ultimi tre decenni una delle più importanti scoperte della genetica del comportamento è stata quella che attribuisce una forte ereditabilità praticamente a ogni aspetto della personalità (Plomin, DeFries,McClearn & McGuffin,2001).Secondo PDM la mancanza di corrispondenza nella visione adattamentista tra la messa a fuoco degli  psicologi evoluzionisti sugli universali e l’onnipresenza delle variazioni ereditabili nella personalità potrebbe spiegare il motivo per cui i primi approcci nella psicologia evoluzionistica della personalità (Buss,1991; MacDonald, 1995,1998;Toby & Cosmides,1990) sono stati piuttosto insoddisfacenti (Nettles,2006).
D’altra parte,la genetica del comportamento tradizionale non ha spiegato le origini evoluzionistiche e la persistenza delle variazione genetiche nella personalità,e a volte la variazione genetica nei tratti è stata addirittura considerata anche la prova della loro scarsa rilevanza per l’evoluzione. Insomma tra gli psicoevoluzionisti degli universali (Tooby & Cosmides 1990, 2005) e i genetisti delle differenze di personalità (Plomin et al,2001) non esisteva dialogo,e pur condividendo una metateoria biologica,non potevano avere quasi nessuna influenza gli uni sugli altri. Giustamente PDM ritengono questa negligenza reciproca assai controproducente per lo sviluppo di una psicologia evoluzionistica della personalità.
PDM ricordano che nella ‘Sintesi Moderna’ degli anni ’30,quando R.Fisher,S.Wright e JBS Haldane intrecciarono i due rami della biologia,quella evoluzionistica secondo la visione adattamentista di C.Darwin e quella psicometrica della genetica del comportamento (fondata da F.Galton,cugino dello stesso Darwin) per un po’ avevano camminato appaiate.Furono Fisher,Wright e Haldane a gettare le basi di quella che oggi chiamiamo ‘genetica comportamentale’ e che si occupa delle origini,del mantenimento e delle implicazioni della variazione genetica dei tratti attraverso gli individui e le specie,attraverso la costruzione di modelli matematici per dimostrare gli effetti della mutazione,della selezione,della migrazione e della deriva genetica di questi tratti nella popolazione (Maynard Smith,1998).
Nell’introduzione al documento PDM puntualizzano che useranno i termini ‘differenze di personalità’ e ‘capacità cognitive’ nel senso lato della tradizione europea,la quale descrive la personalità come un insieme che comprende differenze individuali sia nelle capacità cognitive che nei tratti di personalità (ad esempio Eysenk & Eysenk,1985).
Le capacità cognitive riflettono le prestazioni massime di un individuo nella soluzione di compiti cognitivi.La ben consolidata l'idea di un unico continuum di intelligenza generale, che va da lieve ritardo mentale all’alto potenziale cognitivo fino alla genialità, spiega una gran parte delle differenze individuali nella abilità cognitive in domini differenti (Jensen, 1998), in modo particolare a livello genetico (Plomin & Spinath, 2004).PDM sottolineano che la loro  discussione sulle capacità cognitive sarà focalizzata su questa dimensione generale di intelligenza (denominata g-factor).
I tratti della personalità riflettono invece un insieme di tendenze comportamentali tipiche esibite in situazioni che lasciano spazio a varie risposte di adattamento di un individuo. La miriade di dimensioni di tratto della personalità di solito sono organizzati in modelli strutturati (vedi il modello dei 5 fattori) e  sono generalmente considerate dimensioni del temperamento stabili nel tempo e attraverso le situazioni.
Per migliorare lo stato delle conoscenze su questo argomento sarebbe necessario distinguere le parti della mente che in tutti hanno la stessa struttura (intelligenza,capacità cognitive),da quelle parti che manifestano una significativa variabilità genetica tra le persone (differenze di personalità,nel temperamento e nel carattere).
Fin qui il documento non solleva problemi,ma nascono presto,quando PDM sostengono che la distinzione classica tra le capacità cognitive e tratti della personalità è per loro molto di più di una semplice convenzione storica o una questione metodologica di differenti approcci di misura (Cronbach, 1949),in quanto riflette anche differenti tipi di pressioni selettive che entrano in gioco per plasmare le architetture genetiche specifiche di queste due categorie di tratti.
fig 1-'Modello del bacino idrico' di Cannon&Keller
(2006)
PDM illustrano la loro ipotesi utilizzando il ‘modello del bacino’ (fig.1) che Cannon & Keller (2006) hanno usato per descrivere gli endofenotipi nell’analisi genetica dei disturbi mentali.Come mostra la figura la mappatura dei percorsi che portano i geni attraverso diversi livelli di espressione fenotipiche può essere descritto con la metafora di un bacino idrico.Come numerosi affluenti ‘a monte’ (endofenotipi) alla fine si fondono in un grande fiume ‘a valle’(fenotipi) ,molti processi microbiologici a monte (come ad esempio la regolazione dopaminergica nella corteccia prefrontale),affluiscono nei (cioè influenzano) i processi microbiologici più a valle (ad esempio la memoria di lavoro).Infine la memoria di lavoro,in combinazione con altri differenti endofenotipi (3a,3b,3d..),influisce su tratti fenotipicamente osservabili come,ad esempio,i sintomi della schizofrenia.Una mutazione genica in un locus genico ‘a monte’ sconvolge non solo il processo a monte,ma anche tutti tratti ‘a valle’ che sono collegati al processo.Una lieve mutazione disregolativa della dopamina nella corteccia prefrontale,può non influenzare le funzioni cerebrali generali,ma minare dei processi a valle,come la memoria di lavoro,che aumentano il rischio per la schizofrenia.
PDM applicano ai tratti del modello forze selettive differenti e affermano, 1) che la variabilità genetica nei tratti di personalità è mantenuta attraverso una selezione bilanciata,
2) che la variabilità genetica nelle capacità cognitive è mantenuta attraverso un bilanciamento selezione-mutazione,con una tendenza verso una selezione direzionale,
3) che la neutralità selettiva (Tooby & Cosmides,1990) non è adeguata né a spiegare la variabilità genetica osservata nei tratti di personalità né quella nelle capacità cognitive.
Gran parte dei biologi e psicologi evoluzionisti concordano con queste conclusioni,ma non quando vengono introdotti i concetti di ‘tratti-fitness’ e ‘tratti no-fitness’ (Merila & Sheldon,1999) che PDM abbinano rispettivamente ai tratti  ‘a valle’ e a quelli ‘a monte’.
Secondo Merila & Sheldon,i tratti sotto forte selezione direzionale (tratti  -fitness) dovrebbero avere livelli più bassi di variabilità genetica rispetto a quelli prevalentemente sotto una debole selezione stabilizzante (tratti no- fitness).I tratti-fitness sembrano avere livelli più elevati di Varianza genetica Additiva su quella Non Addittiva in confronto ai tratti no-fitness,che sono anche soggetti a un maggior carico di mutazioni (vedi glossario).
Secondo Figueredo,per esempio,il problema nasce dall’ambiguità delle equivalenze nei termini usati da PDM in riferimento alle fonti citate.
Da una parte PDM sostengono che ci sono alti valori assoluti di varianza genetica additiva nei tratti di fitness,in quanto i tratti di fitness e life-history sono entrambi potenzialmente influenzati da mutazioni in un gran numero di loci genici.E pertanto,benchè i tratti fitness possano essere sotto forte selezione direzionale,in essi un valore assoluto di Varianza genetica Additiva potrà essere mantenuta dall’opposizione continua della selezione naturale alla pressione mutazionale.
Ma poi PDM assumono che i tratti rilevanti per la fitness sono esclusivamente quelli sottoposti a selezione direzionale in contrapposizione a quelli life-history che sono sotto selezione bilanciata,mentre secondo Figueredo anche i tratti sotto selezione bilanciata dovrebbero essere strettamente connessi ai risultati di fitness.
PDM ricordano che anche Figueredo ed altri (2005) hanno proposto la selezione bilanciata come spiegazione del mantenimento della variabilità genetica nei tratti life-history;ma la citazione non sembra appropriata,perché Figueredo e al (2005) hanno attribuito alla  variabilità dei tratti life-history valori decisamente rilevanti per la fitness,in quanto strategie riproduttive alternative potrebbero essere ugualmente rilevanti all’interno di complesse ecologie sociali.
Secondo Figueredo,quindi, PDM equiparando i ‘tratti a valle’ nel ‘modello-bacino’ con i ‘tratti di fitness’ (che ritengono sottoposti a un equilibrio tra pressione di mutazione e selezione direzionale), sottintendono che i tratti di ‘fitness a valle’ hanno anche scarsa probabilità di essere soggetti a selezione bilanciata,come indicherebbero i loro elevati livelli di Varianza genetica Non Additiva.
In effetti quella di PDM ha tutto l’aspetto di una forzatura teorica senza prove.Alla fine non è chiaro perché le cose debbano stare come PDM affermano;non è chiara cioè la ragione per cui un tratto ‘a valle’ con un alto valore di fitness debba essere estraneo alla selezione bilanciata,come,nello stesso modo,non è chiaro perché la Varianza genetica Additiva dovrebbe essere ridotta e impoverita nei tratti sotto selezione bilanciata.Ciò che non convince è la certezza apparente con cui PDM presentano le loro previsioni differenziali come criteri affidabili per discriminare i meccanismi che mantengono la variabilità genetica nei tratti della personalità e in quelli cognitivi,tenendo anche conto che gli studi citati a sostegno delle loro ipotesi sono considerate dai loro stessi autori (più timidamente) come ipotesi di lavoro.
Anche se entusiasma Miller,quella scissione dentro la mente tra intelligenza e tratti di personalità non convince;per Miller l’ipotesi è irrinunciabile,anche perché è un sostegno fondamentale all’idea che  gli indicatori dell’intelligenza si siano evoluti attraverso l’accoppiamento assortativo e la selezione sessuale per la scelta di ‘buoni geni’(1999);come la coda del pavone,le corna dell’alce e la voce dell’usignolo,anche l’intelligenza umana si sarebbe evoluta per pubblicizzare e promuovere buoni geni,liberi da mutazioni pericolose,la buona salute e un buon funzionamento mentale (fattore g),come indicatore di fitness generale.
Ma in che misura questo è vero si chiede R.McCrae nel commento al documento di PDM.Fa osservare che i meccanismi dell’accoppiamento assortativo sono molto più complessi di quello che PDM vorrebbero far credere,basandosi sui risultati ottenuti da R.Plomin (1999).Dai meccanismi che guidano l’accoppiamento assortativo risulterebbe un valore trascurabile per i tratti di personalità (.10 circa),mentre quello per l’intelligenza raggiunge valori notevolmente superiori (.40).
In quegli studi,fa notare McCrae,sono stati coinvolti i tratti di estroversione e nevroticismo,ed è ragionevole per quei fattori ottenere simili valori. Ricorda che nel 1996 in una propria ricerca,sono stati trovati valori più alti (.20-.30) riguardo all’Apertura all’esperienza e alla Coscienziosità del FFM,e anche valori molto più elevati per i caratteri legati al liberalismo/conservatorismo che sono aspetti dell’Apertura all’esperienza. Si potrebbe sostenere, osserva McCrae,che l’accoppiamento assortativo per i caratteri legati al Liberalismo/ /conservatorismo hanno poco a che fare con i processi dell’evoluzione,ma lo stesso argomento potrebbe essere usato per l’intelligenza:le persone intelligenti possono preferire compagni intelligenti solo perché sono persone interessanti con cui parlare e non perché indicano un più alto punteggio nel fattore f (fattore di fitness).
Su quest’idea di intelligenza c’è uno scarso consenso di fondo tra gli psicologi;per essi le nostre menti sono piuttosto una raccolta di differenti capacità,di diversi adattamenti per fare cose differenti e diffidano di qualsiasi super fattore che pretenda di estendersi sopra queste capacità o che venga a trovarsi sulla vetta per dirigere tutto.
In realtà questo non lo pensano nemmeno i ricercatori sull’intelligenza, molti dei quali ammettono che non esiste una facoltà di ‘intelligenza generale’ e che,in sostanza,il fattore g è solo un’astrazione statistica derivante dal fatto che in genere persone che sono bravi e competenti in qualcosa lo sono anche in altre cose.
Nel documento di PDM,ciò che più disorienta (e per certi aspetti preoccupa) è la logica che sta alla base del rapporto tra fattore g (intelligenza) e fattore f (fitness),e la loro ‘indipendenza’ dai tratti della personalità.Questa logica sembra auspicare che i biologi usino l’analisi fattoriale per analizzare la fitness come gli psicometristi l’hanno utilizzata per analizzare l’intelligenza umana,seguendo l’esempio di Spearman (1904)
La fitness non può essere misurata direttamente,sostiene Miller,tuttavia i biologi hanno sviluppato una serie di misure abbastanza affidabili, (relative,per esempio,alle  dimensioni corporee,alla massa corporea,alla  simmetria del corpo,al basso carico di parassiti (Moller & Swaddle,1997)),
che probabilmente correlano positivamente con una fitness biologica generale.Miller teorizza che,data la correlazione positiva di queste misure di fitness,sia possibile con l’analisi fattoriale definire un fattore generale di fitness (fattore f) moderatamente ereditabile,e  sovraordinato al fattore g (intelligenza),proprio come il fattore g è sovraordinato ai suoi fattori di intelligenza spaziale o intelligenza verbale.
Per PDM questo fattore f rappresenterà una parte sostanziale della varianza tra gli individui nella misura della fitness,ma le deduzioni da questa ipotesi sono molto incoerenti con l’assunto standard dell’Human Behavioral Ecology,secondo cui  i trade-off tra tratti dovrebbero dare luogo a correlazioni negative tra molte misure di fitness.
Se inseriamo in questo quadro un altro fattore,come il K-factor di Figueredo e altri (2005),siamo al muro contro muro.Il K-factor nasce da una visione generale differente che porta a due conclusioni fondamentali; la prima è che la selezione di varianti nelle strategie life-history è la forza trainante della selezione per le variazioni della personalità;la seconda è che il parziale disinnesco degli effetti della competizione tra gli individui dentro la specie attraverso la loro assegnazione a specifiche nicchie sociali è la funzione specificamente evoluta e adattiva di queste variazioni e non un mero effetto collaterale casuale.In uno studio sui gemelli (2006) è stata anche dimostrata una sostanziale correlazione genetica tra il K-factor (fattore di personalità di più alto ordine) e una composita e multivariata gamma di indicatori cognitivi e comportamentali delle strategie life-history.
Tutto considerato siamo ancora davanti a un antico dilemma tra un’idea platonica,razionalistica e verticale dell’Intelligenza (con la I maiuscola), seppure vivacizzata dagli aspetti erotici della scelta del partner, e una materialista,diffusa e orizzontale, che considera soprattutto il variegato mondo delle intelligenze (con la i minuscola) in competizione.
Uno stimolante suggerimento per superare lo stallo ci sembra quello di A. Strobel,psicofisiologo e genetista molecolare,il quale diffida della netta distinzione che fanno PDM nel loro documento tra i meccanismi neurogenetici alla base delle abilità cognitive e del temperamento;ritiene che questa distinzione sia prevalentemente teorica,dal momento che esistono prove di una associazione tra tratti del temperamento e le funzioni di controllo cognitivo,cioè di una loro sovrapposizione neuroanatomica e neuromodulatoria.Negli ultimi anni numerosi studi hanno registrato influenze genetico molecolari  sul controllo cognitivo o sulla memoria di lavoro (Posthuma, Mulder, Boomsma, and de Geus ,2002) e mettendo insieme queste evidenze emerge che le variazioni genetiche che incidono sulle funzioni cognitive sono anche associate alle differenze individuali sui tratti di temperamento
Questo potrebbe implicare la necessità di considerare anche l’esistenza di norme di reazione cognitiva (plasticità fenotipica) in associazione a quelle previste per i tratti del temperamento.Una norma di reazione si manifesta quando un allele non controlla un carattere,ma il modo di reagire a certe sollecitazioni dell’ambiente.Perciò a parità di genotipo (per esempio essere estroversi e ricercatori di novità oppure essere cauti e amanti delle regolarità) gli individui esposti a condizioni medie svilupperanno un certo fenotipo temperamentale e cognitivo,e altri esposti a condizioni estreme svilupperanno fenotipi differenti (vedi).
Strobel passa in rassegna una serie di studi sui controlli transcrizionali combinati di alcuni geni importanti nelle variazioni temperamentali e cognitive,e nota quanto in tale direzione siano stati importanti le ricerche precedenti di Depue & Collins (1999) e di Gray &McNaughton (2000).

Perciò potrebbe essere utile,suggerisce Strobel,assumere una terza categoria di abilità oltre (o tra) quella cognitiva dei  componenti di fitness sotto mutazione-selezione e quella dei tratti del temperamento,ossia quella delle reazione cognitive che,come i tratti di temperamento,manifestano norme di reazione con fitness ambiente-contingente sotto selezione bilanciata.Tali abilità cognitive saranno sotto selezione bilanciata, poiché pur essendo di natura cognitiva ed essendo reclutati quando la capacità cognitiva è messa alla prova,si manifestano secondo norme di reazione in funzione dei mutamenti d'ambiente.Ci sono situazioni o ambienti in cui la capacità di proteggere le  rappresentazioni della memoria di lavoro contro informazioni distraenti migliora la fitness, e ci sono situazioni o ambienti, in cui l'aggiornamento flessibile di rappresentazioni e rapidi passaggi da un obbiettivo all’altro,commutando gli stessi mezzi per raggiungerli,è più appropriato.