Nello studio della mente e del pensiero cosciente convergono due campi d’indagine;il primo è quello neuroscientifico in cui si cerca di comprendere come la coscienza e il pensiero nascono ,attraverso l’esame delle connessioni cerebrali tra le strutture sottocorticali e la corteccia dove hanno sede la gran parte dei processi cognitivi;il secondo è quello della cosiddetta ‘mente esterna’,dove una cultura evolve attraverso fasi storicamente determinate,all’interno dei codici di una specifica memosfera e in cui le idee prodotte dalle menti acquistano una vita indipendente con propri meccanismi selettivi.
Restiamo
in questo secondo campo e prendiamo in considerazione la versione moderna di un
meme di successo e di lunga tradizione nella nostra cultura,quello delle ‘due
soggettività’:“Dio non ha pudore perché
non ha corpo. L' animale non ha pudore perché non ha il senso della propria
individualità. L' uomo, che ha corpo e individualità, esprime nel pudore la dialettica
contrastante di queste due dimensioni che così intimamente lo costituiscono e
lo lacerano. Ciascuno di noi, infatti, ospita due soggettività. Una che dice
«Io», con cui siamo soliti identificarci, e una che ci prevede «funzionari
della specie» per la sua continuità. Amore, che gioca sul doppio registro della
nostra soggettività, prevede che ad amare e ad essere amato sia il nostro io,
ciò che intimamente ci costituisce e ci individua e, contro la sessualità
generica e non individuata, erge la barriera del pudore…”(Galimberti,2004)
Le
parole del filosofo-psicoanalista sul mito del conflitto tra due
soggettività,rende bene il senso d’angoscia che da sempre pervade la cultura
dell’Io o dell’Anima’,perni della nostra
idea di libero arbitrio che ci individua rispetto agli oscuri meccanicismi che
‘si occupano di noi’ come funzionari della specie,il cui unico scopo è quello
di farci riprodurre attraverso i meccanismi dell’attrazione sessuale e
dell’amore finchè arriva il momento di toglierci di mezzo per lasciare il posto
a nuovi esseri.
I
racconti alimentati da questa rappresentazione di come vanno le cose è il cibo
della nostra mente,materia dei nostri dialoghi con altri e noi stessi,un flusso ininterrotto di
parole e immagini che ci impegnano nel
controllo della nostra esistenza,ora come eroi ora come vittime,a seconda di
come va la lotta contro quell’’alterità genetica’ che di noi se ne frega,come
anche della nostra volontà,delle speranze,dei progetti personali che ci
animano.
Questa atmosfera tragica sfuma in commedia se implichiamo alcune ipotesi derivanti dagli
studi di genetica delle popolazioni e da quelli sull’evoluzione delle
culture,che pretendono di dirci qualcosa di più sui racconti della mente.Per
cominciare si dice che,come avviene in tutte le specie animali,anche per l’uomo
esiste una correlazione soprendente tra la distanza geografica che separa due
gruppi umani e il grado di differenza dei loro genomi.Le popolazioni che in
seguito alle migrazioni iniziate dall’Africa circa 150.000 anni fa rimasero
isolate per molte generazioni svilupparono alleli distintivi,da cui derivarono
varianti fisiche,neurofisiologiche e temperamentali, che sono tuttora alla base
delle loro differenze mentali e culturali.Queste differenze interessano anche i
gradi più elevati della coscienza riflessiva,come ammette decisamente anche lo
psicoanalista-filosofo,quando mostra la sua perplessità davanti alla diffusione della mindfulness,della meditazione e altre tecniche del buddismo zen nelle pratiche psicoterapeutiche dell’occidente.
“Abbiamo noi una mente idonea a comprendere i
processi mentali in orientale..oppure in quanto occidentali non siamo in grado
di entrare in quel mondo?”,si domanda e la sua risposta è che non siamo in
grado,semplicemente cerchiamo d’usare ‘arnesi’ orientali senza avere la
struttura mentale d'un orientale;secondo lui la cosa potrebbe esserci
consentita solo vivendo là almeno una quarantina d’anni,per assorbire i
percorsi della mente orientale (intervista a RAI New del 19/06/2015).
Una mente d’oriente in effetti sente meno la ‘tragedia’ delle due soggettività
contrapposte che a noi appare come la più realistica delle condizioni.Il
racconto in oriente ha sempre avuto qualche difficoltà a diventare popolare e
di successo,e non solo per un problema d’ambiente che potrebbe essere superato
risiedendo una quarantina d’anni da altre
parti.
Certe
discriminanti epigenetiche tra i popoli
indirizzano la formazione di significati attribuiti alla relazione uomo-natura e uomo-cultura,e dunque modellano
anche il dialogo che un individuo
intrattiene con altri e con se stesso.
Secondo
i genetisti tali differenze potrebbero essere associate a due gradienti
geografici,quello est-ovest (per es.nel confronto tra un inglese e un cinese) e
quello nord-sud ( nel confronto,ad esempio,tra il genoma di chi vive
nell’Africa centrale e di chi vive in nord Europa).
I
geni responsabili di questo mosaico non sono quelli strutturali,che restano
invariati tra le popolazioni,ma quelli detti promoter o enhancer (promotori o intensificatori),gli addetti
al controllo dell’espressione dei geni strutturali e controllo che agisce sui
livelli di attività delle catecolammine,sui sistemi simpatico e parasimpatico e
sulle funzioni cerebrali.Quali sarebbero i segni epigenetici indicativi?
J.Kagan (2010) accostando gli studi di L.Cavalli Sforza sulla genetica delle
popolazioni,con la sua trentennale ricerca sulle basi biologiche delle
differenze di personalità,in cui ha avuto modo di confrontare gruppi di bambini
asiatici e caucasici americani,avanza cautamente l’ipotesi che le differenze
culturali tra occidentali e orientali siano la conseguenza di variazioni
genetiche nella funzionalità cerebrale,oltre che nei sistemi nervosi
autonomo,endocrino e immunitario.
Entrambi
i meccanismi porterebbero a livelli cronicamente più bassi di attività della
serotonina,le quali determinerebbero anche una serie di conseguenze a livello
cerebrale e comportamentale.Tenuto conto del fatto che la serotonina
(neurotrasmettitore essenziale per l’attività del Sistema di Inibizione Comportamentale-BIS-)
,in rapporto a determinati stimoli ambientali,può attivare o bloccare anche uno
specifico recettore della dopamina (Sistema di Attivazione
Comportamentale-BAS-) in aree deputate al movimento degli arti,è ragionevole supporre che l’abbassamento
cronico dei suoi livelli nel cervello,insieme ad un abbassamento del tono
dell’umore, dell’eccitazione e dell’ansia,possa modellare anche il tasso di
reattività neuromuscolare in relazioni a specifiche stimolazioni ambientali.
Kagan
conclude che tutto questo potrebbe spiegare perchè i bambini cinesi nei
suoi gruppi di studio sorridevano e ridevano sempre meno dei loro coetanei
caucasici appartenenti alla medesima classe sociali e residenti nella stessa
area.Aggiunge inoltre che,tenendo conto del fatto che anche le scimmie portatrici
dell’allele corto si allarmavano di più di fronte a foto di scimmie maschio che
si trovano in alto nella scala sociale e sono dunque più portate alla
sottomissione,ciò avvenga anche negli esseri umani,che dovrebbero avere una
maggiore tendenza a piegarsi e uniformarsi alle norme del gruppo,ossia
all’insieme delle leggi,delle regole,delle credenze,delle consuetudini apprese
che confluiscono nella mente esterna, a essere insomma più ‘addomesticabili’ e
più gentili con gli altri.Queste evidenze sono anche un invito a formulare
ipotesi sul perchè le popolazioni asiatiche ed europee abbiano prodotto
filosofie così differenti:una,quella d’occidente,che esprime un sè più ansioso,
eccitato e attivo verso il mondo e la natura,e l’altra che indica un sè più
distaccato,passivo e orientato alla ricerca di armonie con la società e la natura.
La
percentuale di individui portatori dell’allele lungo nella regione promoter del gene trasportatore della
serotonina (che assorbe serotonina dalle sinapsi tra i neuroni) è massima tra
gli africani;tra gli europei è maggiormente diffuso l’allele ‘medio’ e tra gli
orientali quello ‘corto’.L’allele ‘corto’ negli orientali riduce il livello di
espressione del gene;una conseguenza di ciò è che la serotonina rimane nelle
sinapsi più a lungo,ritardando la sua eliminazione fisiologica.Gli scienziati
pensano che con l’andare del tempo la presenza prolungata di serotonina porti
ad un abbassamento cronico dei suoi livelli di attività in un cervello asiatico
rispetto a uno caucasico o africano,o perchè il suo eccesso riduce il numero
dei recettori nei neuroni adiacenti,o perchè il nucleo del rafe,da cui la
serotonina viene prodotta,riceve feedback inibitori.
Le
implicazioni di questa ipotesi sono notevoli.Parlando di una cultura possono essere
presi in considerazione vari suoi livelli di espressione tra quello genetico e quello dei memi ,come i processi che guidano la formazione delle idee (quelli
emotivo-cognitivi di processazione automatica e quelli del controllo
consapevole che include il linguaggio simbolico),fino alla selezione culturale delle idee stesse,cioè la
facilitazione o meno che incontrano per propagarsi nella memosfera di un
popolo.
Consideriamo
l’evoluzione della conoscenza scientifica.La scienza moderna è nata in
occidente,ma non la mentalità scientifica.A tale proposito esistono alcune questioni irrisolte nell’evoluzione di questa conoscenza
esprimibili in due semplici domande che hanno impegnato a lungo alcuni
studiosi.La prima:perchè nel secolo XV le scoperte scientifiche e le
sorprendenti applicazioni tecnologiche cinesi,dopo essere fiorite per un
millennio si sono improvvisamente fermate,proprio nel momento in cui la scienza
moderna ‘esplodeva’ nel mediterraneo e in Europa? E l’altra:come è stato
possibile che una gran parte delle scoperte e delle realizzazioni scientifiche
e tecnologiche che hanno cambiato il mondo (la stampa,la bussola magnetica,la
polvere da sparo, la sintesi di sostanze medicinali,il sismografo,ecc...) siano
avvenute in Oriente,durante il periodo Song dell’antica Cina (960-1279 d.c)
invece che in quelle dell’IO e del Logos,dove sarebbe stato logico
aspettarsele, dal momento che i suoi scienziati e filosofi,appartenenti ad una
cultura che in linea generale privilegiava l’investigazione analitica e la scoperta,e avevano
già stabilito una stretta connessione tra il ‘saper fare’ della tecnica e il
‘sapere’ del Logos?
La
ricerca di una risposta impegnò a lungo Joseph Needham (1969),il
biochimico e orientalista inglese.L’attribuzione della responsabilità alla cattiva
influenza esercitata dai missionari cristiani,che avrebbero insegnato agli
intellettuali e funzionari cinesi i
fondamenti della filosofia greca,della tecnologia greco-romana e cercato di
diffondere le credenze ebraico-cristiane,non convince.I memi confuciani e
taoisti che implementavano le menti cinesi erano impermeabili a quelle
credenze.Per un Taoista il Cristianesimo era un’assurdità inconcepibile;nell’universo per lui non c’era nulla di separato e trascendente,tutto era interdipendente
nell’Uno.Per un taoista la mente interna individuale non è un ‘sè’ con
una distinta identità intellettuale e morale che si contrappone all’oggetto
e alla natura,ma qualcosa che varia e si armonizza coi contesti di esperienza
in continua evoluzione.I cardini della memosfera orientale fissavano i limiti
entro i quali può svilupparsi l’individualità ed è forse per questa ragione che
anche la contesa tra intellettuali non ha mai trovato all’interno
delle varie scuole l’ampia espressione che hanno avuto in occidente,terra di
santi,martiri o eroi. Il tradizionale pragmatismo cinese adottò la tecnologia
occidentale e cercò di interpretarla secondo i suoi principi,ma scartando i fondamenti della filosofia occidentale e delle credenze
ebraico-cristiane.
L’astronomo
Mei Wending che visse nel periodo in cui i ‘colonizzatori’ gesuiti erano stati
ammessi alla corte imperiale cinese,si dette un gran da fare per contrastare la
loro l’opera di propaganda a favore della filosofia e della scienza occidentali;fu
il primo a parlare del problema della diffusione culturale delle idee e della
mentalità scientifica in Cina.Rifiutò con decisione le conclusioni dei gesuiti
che attribuivano la lacuna all’assenza di grandi matematici,scienziati e
filosofi al livello di quelli che vissero nella Grecia antica,e sostenne che la
scienza cinese,un tempo gloriosa,si era degradata a causa di difficoltà nei
processi di trasmissione all’interno della società orientale.
Fedele
alle sue ipotesi Mei intensificò la ricerca dei libri antichi per riportare alla
luce le tecniche e le scoperte dell’antica Cina e nel corso della ricerca
furono raccolte alcune conoscenze matematiche che presentavano profonde
analogie con quelle che i missionari consideravano ‘occidentali’.In base a
questo Mei giunse alla conclusione,creando sul momento qualche problema
diplomatico,che l’origine del sapere d’occidente andasse ricercata in Cina
(F.Bray-2001-La scienza in Cina,www.treccani.it).
A
parte le conclusioni estreme,la visione di Mei conteneva ipotesi valide.La
prima è che i processi dei differenti stili di pensiero (in questo caso quelli
‘oggettivisti’ della mentalità scientifica) non hanno un potere di controllo
sulle idee che producono una volta che queste
sono sottoposte alla selezione
nella mente esterna.La seconda è che la sorte delle idee in questa selezione non dipende dal loro
contenuto di verità,come ritenevano i gesuiti platonici e aristotelici,ma dal
loro potenziale diffusivo in una memosfera.
In
oriente mancò quella rivoluzione culturale che in occidente cambiò i panorami
della sua cultura e facilitò la diffusione e il dominio degli oggettivismi ,una rivoluzione che seguì all’invasione e all'innesco dei memi dell’ebraismo
medio-orientale nella cultura della grecia antica.
All’origine,nonostante
le differenze nelle visioni cosmologiche e nel sentimento del rapporto tra il
sè e natura,le culture dell’antica Grecia e dell’antica Cina avevano qualcosa in
comune.In entrambe,le ambizioni di menti ‘specializzate’ nel ‘saper fare’ scientifico
e tecnico erano abbastanza svalorizzate da un potente meme che dominava morale
e costumi,ossia le norme della morale aristocratica, secondo le quali era più
onorevole non tenere in grande considerazione l’opera di artigiani
imprenditori,di ingegneri,di inventori e delle loro tecniche. Le principali
virtù confuciane o laotziane risiedevano nel coltivare l’umanità,la
rettitudine,la proprietà,la conoscenza e l’affidabilità e condannavano
esplicitamente l’orientamento al profitto, privilegiando la cura di sè e delle
virtù.Anche Platone arricciava il naso davanti al lavoro pratico nella
meccanica e il grande Archimede, secondo Plutarco,ritenendo l’ingegneria
qualcosa di volgare,desiderava essere ricordato più che altro come
matematico (G.E.Lloyd,2003).
(segue)
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